Ma il Saladino, che farebbe il Saladino? Si “autodeterminerebbe”? - Parte Prima
Ecco un articolo annunciato tempo addietro, piuttosto desiderato da qualcuno di voi e che cade a poche settimane di distanza dalle ultime elezioni in Turchia. Elezioni durante le quali il partito filo-curdo Hdp (Partito democratico curdo)– pur essendo riuscito anche stavolta a entrare in Parlamento superando la soglia di sbarramento record del 10% - ha comunque perso circa un milione di voti rispetto a giugno.
Inoltre, pur sembrando apparentemente sganciato, ritengo che questo articolo vi fornirà un po’ di informazioni utili a capire l’attuale conflitto siriano, non solo perché i curdi vi prendono parte attiva, ma anche perché vi racconto un po’ quali sono le risorse in gioco e alcune dinamiche regionali che possono influenzare le decisioni degli Stati, sia di quelli confinanti con la Siria sia di quelli distanti ma che hanno sempre l’occhio puntato sulla regione.
Istruzioni di lettura: l’articolo è piuttosto lungo, per questo l’ho diviso in paragrafi e soprattutto in due parti, che potete decidere di leggere anche separatamente. Soprattutto, potete decidere di leggere prima la parte dedicata al principio di autodeterminazione dei popoli (parte II) e poi tornare qui e leggere, alla luce di quelle nozioni, la parte dedicata invece proprio al Kurdistan. Oppure seguire l’iter del racconto che ho seguito io: prima Kurdistan e poi principio di autodeterminazione. A voi la scelta!
Cominciamo.
Nell’immaginario collettivo internazionale, e italiano in particolare, i curdi hanno avuto il loro auge - quanto a “notorietà” – solo nel 1998, quando il leader del PKK, Abdullah Öcalan, che dalla Siria guidava le campagne armate curde sin dal 1984, fu costretto a fuggire prima a Mosca e in seguito a Roma. Öcalan è stato poi catturato, venduto da funzionari kenioti alla Turchia, il 15 febbraio 1999 e successivamente condannato a morte. Da allora è detenuto sull’isola di İmrali, situata nel sud del Mar della Marmara, utilizzata come struttura carceraria di massima sicurezza.
Ma il Kurdistan è qualcosa che va oltre il PKK e Ocalan, è qualcosa che va anche oltre la Turchia.
Il Kurdistan: territorio e risorse
Identificato da una lingua di origine iranica con sette sottogruppi dialettali, il Kurdistan è composto per la maggior parte da musulmani sunniti con tradizioni non ortodosse. Ad oggi, stime necessariamente approssimative parlano di circa 30 milioni di individui sparsi in una regione geografica di circa 450.000 kmq, spalmata su quattro Stati - Turchia, Iraq, Siria e Iran. Con tali numeri, in ogni caso, il popolo curdo rappresenta la più grande nazione al mondo priva di una propria entità statale.
La maggior parte del Kurdistan è situata all'interno dei confini turchi, corrispondendo a circa un sesto del suo territorio (12-20 milioni di curdi; la forbice è piuttosto ampia proprio per l’approssimazione delle stime di cui vi dicevo su). Quello iraniano copre un’area di circa 125.000 kmq, pari al 7,5% dell’intero territorio statale (6-10 milioni); quello iracheno circa 74.000 kmq, ossia il 17% della superficie totale dell’Iraq (4-6 milioni); quello siriano raggiunge i 18.300 kmq, circa il 10% della superficie totale della Siria (1-2 milioni) ma, a differenza degli altri tre casi, esso non ha continuità geografica all’interno dello Stato, essendo intervallato da regioni arabe (a ben guardare, il Kurdistan siriano è la continuazione di quello turco e di quello iracheno).
È un territorio strategicamente rilevante per la ricchezza di petrolio e le risorse idriche, ma si trova in una situazione di sottosviluppo a causa dell'assenza di un'unità politico-amministrativa.
Nella cartina su, oltre ad avervi evidenziato i confini tra gli Stati all’interno della zona curda, vi ho anche cerchiato in blu le sorgenti di Tigri ed Eufrate. Sono presenti anche bacini lacustri come quello di Van e il lago salato Urmia. Nel Kurdistan turco, il monte Ararat è rappresentato mitologicamente come la regione dei “mille laghi”. Se in passato essi hanno permesso la florida evoluzione di popolazioni e città, oggi potrebbero rappresentarne la scomparsa di alcune di esse.
Emblematico a tal proposito è il destino della piccola cittadina di Hasankeyf , nel Kurdistan turco, a pochi chilometri dal confine con la Siria e con l’Iraq. Infatti questa enormità di risorse idriche non serve solo per le attività di irrigazione ma soprattutto per la produzione di energia idroelettrica. A tal fine, è stato quindi concepito negli anni ’70 un sistema di 22 dighe (il c.d. GAP, acronimo di Güneydoğu Anadolu Projesi - Progetto Idrico per l’Anatolia Sud-Orientale) sui fiumi Tigri ed Eufrate, idonee ad alimentare ben 19 centrali elettriche e capaci di veicolare, verso mercati internazionali, notevoli quantità di energia. E questo probabilmente spiega i finanziamenti della Banca Mondiale dagli anni ’70 in poi così come del FMI, che ultimamente hanno subordinato i prestiti al previo accordo con gli Stati confinanti (infatti le acque del Tigri e dell’Eufrate sono oggetto di annose controversie tra Turchia, Siria e Iraq! Ma questa è un’altra storia...) così come alla privatizzazione dei sistemi di gestione. La diga la cui costruzione porterebbe all’allagamento di Hasankayef è quella di Ilisu (ve la indico con la freccia).
PETROLIO: il 75% di quello iracheno proviene dal Kurdistan (zone petrolifere di Kirkuk, Mosul e Arbil), gli unici giacimenti della Turchia (nell’area di Siirt, Raman, Garzan, Diyarbakir) e i più importanti della Siria (nell’area di Giazira, con i pozzi petroliferi di Kerashuk, Ramelan, Zarbe, Oda, Sayede e Lelak) si trovano in Kurdistan, e anche nella zona di Kermanshah, territorio iraniano ma abitato da curdi, si produce petrolio. Non essendoci accesso diretto al mare aperto, il petrolio viene trasportato verso il Mediterraneo per mezzo di tre oleodotti: due attraversano la Siria diretti al porto di Banias e a quello di Tripoli in Libano; molto più importante quello che attraversa il Kurdistan turco, lungo circa mille chilometri, che raggiunge le coste mediterranee.
Il Kurdistan turco è inoltre ricco di numerosi minerali, quali fosfati, ferro, argento, lignite, uranio e soprattutto cromo, di cui la Turchia è uno dei maggiori produttori mondiali.
Il Kurdistan: storia
Il Kurdistan è il passaggio obbligato di alcune importanti vie di comunicazione e si trova nel cuore di uno dei punti più caldi della politica mondiale. La posizione geopolitica dell'area ha condizionato molto le vicissitudini del popolo curdo, impedendone l'unità politica. Le origini di questo popolo sono molto risalenti nel tempo; il primo scritto in lingua curda risale al VII secolo, periodo in cui i curdi si convertono all'Islam.
Tra il 1169 e il 1250 una dinastia curda – di cui Saladino è l'esponente più illustre - regna in tutto il Medio Oriente musulmano. Nella metà del Cinquecento i curdi si alleano con il sultano ottomano contro la Persia, e Selim il Crudele si impegna a riconoscere uno Stato curdo; tuttavia, nella realtà, il Kurdistan viene diviso tra ottomani e persiani. Nell’Ottocento quasi tutto il territorio curdo passa sotto la dominazione ottomana, che impone forti limitazioni ai privilegi e all’autonomia degli stati curdi provocando quindi numerose rivolte che avevano come obiettivo l’unificazione del popolo curdo e la sua autonomia.
Quando si affacciarono nel Kurdistan le potenze europee, l’area fu strumentalizzata in funzione degli interessi di Gran Bretagna, Francia, Germania e Russia zarista per indebolire l’impero ottomano. Il 30 ottobre 1918 quest’ultimo viene battuto dagli Alleati e il primo Trattato di pace tra ex Impero ottomano e Potenze vincitrici della I guerra mondiale viene firmato nel 1920 (Trattato di Sèvres), stabilendo il diritto alla nascita del Kurdistan nelle province orientali dell'Anatolia così come dell’Armenia.
Tuttavia, i cambiamenti interni alla nuova Turchia, e in particolare la rinascita nazionalista turca guidata da Mustafa Kemal comportano, da un lato, la non entrata in vigore del Trattato di Sèvres e, dall’altro, la sua rinegoziazione attraverso la firma del Trattato di Losanna nel 1923. Quest’ultimo annette alla Turchia la maggior parte del territorio curdo e spartisce il rimanente tra Siria, Iran e Iraq.
Questa è l’origine dell’attuale situazione.
Da allora e per oltre 15 anni si susseguirono rivolte popolari contro il governo di Ankara e di Teheran. Nel 1937 venne sancita la definitiva spartizione del Kurdistan, mentre – con l’appoggio dell'Unione Sovietica - il 22 gennaio 1946 i curdi iraniani proclamarono la Repubblica curda di Mahabad, presieduta dal giudice Qazi Mohammad. Il nuovo Stato sopravvisse solo 9 mesi. Qazi Mohammad fu giustiziato assieme ad altri componenti del suo “governo”; altri ripiegarono in Iraq forti della protezione che questo Stato aveva loro garantito, salvo poi tradire la parola data e ucciderli tutti; altri, tra cui il generale Mustafa Barzani coi suoi uomini, ripiegarono in Unione Sovietica dove ottennero la protezione da rifugiati politici.
Da quel momento in poi le entità curde iniziano a differenziarsi al loro interno sempre di più, a seconda anche della storia politica e geopolitica del Paese al cui interno si trovano.
I TANTI KURDISTAN
1. Turchia
Chiamati “Turchi della montagna”, con riferimento alla conformazione territoriale del Kurdistan e alla loro anima rurale (e, sotto alcuni punti di vista, ancora tribale), non hanno goduto da subito del passaggio, avvenuto nel 1946, dal monopartitismo (avviato da Ataturk e seguito anche dopo la sua morte) al pluripartitismo. Dopo il colpo di stato del 1960, la nuova Costituzione riconobbe ai cittadini le libertà fondamentali, continuando tuttavia a considerare l’integrità dello Stato un valore assoluto e prioritario ed essendo quindi ostile a istanze indipendentiste.
Come per il Kossovo, il movimento di ribellione curdo in Turchia si è sviluppato nel tempo in due direzioni:
l'ala nazionalista, rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan, che chiedeva l'autonomia;
l'ala più estremista, di ispirazione socialista, che rivendicava l'indipendenza. Negli anni ‘70 nasce e si struttura il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, il cui fondatore e leader è stato appunto Abdullah Öcalan, detto Apo (“zio” in curdo). Il programma prevedeva una prima fase di rivoluzione nazionale, ovvero la creazione di una repubblica marxista curda in territorio turco per arrivare poi all'unificazione dell'intero Kurdistan, e una seconda fase, di rivoluzione democratica, che prevedeva l'instaurazione di una dittatura del proletariato per eliminare lo sfruttamento latifondista, la struttura sociale basata sui clan e la condizione di inferiorità della donna.
La Costituzione turca del 1982 – successiva all’ennesimo colpo di stato - vietava l'uso della lingua curda e criminalizzava ogni espressione che affermasse un'identità curda. Da quel momento, il PKK ha iniziato la sua lotta armata contro il potere centrale, creando un malessere crescente anche all'interno della stessa popolazione curda e dando l'occasione al governo di bollare la questione curda come un problema di terrorismo. È questo in fondo il percorso che tuttora segue il PKK. Considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, sebbene dal punto di vista di molti curdi sia il rappresentante delle istanze della comunità nei confronti di Ankara e sia legittimato a ricorrere alla lotta armata di fronte alle politiche – percepite come discriminatorie – che la Repubblica fondata da Ataturk persegue nei loro confronti.
Il tentativo di far entrare il PKK nella vita politica turca sembrò riuscire all’HEP (HalkinEmek Partisi, Partito del lavoro del Popolo) che nel 1991 giunse ad eleggere al parlamento 22 deputati ma, è bastato che una di essi, Leyla Zana, si esprimesse con qualche frase in curdo nell’assemblea parlamentare perché dell’accaduto si occupasse la giustizia e la Corte Costituzionale sciogliesse il partito nel 1993.
Tuttavia, va precisato che la Turchia non è contro i curdi in generale, ma contro una (il PKK) delle numerose frazioni in cui il nazionalismo curdo è frammentato. In passato, Ankara si è servita infatti dei curdi come pedina regionale, di volta in volta contro la Siria, contro l’Iraq e contro l’Iran. La Siria, a sua volta, ha tradizionalmente sostenuto, addestrato e finanziato i curdi del PKK per servirsene contro la Turchia (e l’Iran ha sostenuto i curdi iracheni contro Saddam Hussein).
2. Iraq
Le azioni militari contro il PKK avvantaggiano le altre frazioni curde, e tra queste le due al potere nel Kurdistan irakeno:
il Partito democratico (PdK), tradizionale alleato della Turchia. Fondato da Mustafa Barzani, (quello che si era rifugiato nell’URSS dopo la disfatta della Repubblica di Mahabad), morto nel 1979 e a cui è succeduto il figlio Massoud (nato proprio, curiosamente, a Mahabad durante la breve vita della Repubblica).
l’Unione patriottica (UPK), tradizionale alleato dell’Iran. Fondato nel 1975 e guidato da Jalal Talabani, appartenente alla c.d. intellighenzia di sinistra e supportato da Assad (il padre dell’attuale presidente siriano).
Entrambi reclamano non l’indipendenza, ma una larga autonomia, che hanno in parte ottenuto grazie alla zona di esclusione aerea creata dall'Onu nel 1991 dopo la I guerra del golfo. La costituzione irachena del 1992 sanciva l’attribuzione di ampi poteri regionali, in virtù dei quali da allora la regione autonoma del Kurdistan (KRG) ha un suo parlamento e un suo governo regionale ove trova sede fra gli altri il Ministero della Difesa Peshmerga (in genere i Peshmerga sono riferibili al Pdk, quelli di Barzani per intenderci). Consapevole delle sue risorse e desideroso di usarle al massimo, il governo regionale del Kurdistan ha aperto numerose rappresentanze nei paesi più importanti della comunità internazionale.
Dal dicembre 1994 però Pdk e Upk, un tempo alleati, hanno cominciato a contendersi militarmente il dominio della regione e il governo regionale curdo era di fatto impotente dinanzi alla guerra fratricida. Dopo l’ultima guerra contro l’Iraq e il varo della nuova Costituzione nell’ottobre del 2005, sembrava possibile una maggiore autonomia dell’etnia curda in Iraq, in seguito alla tripartizione delle zone di influenza tra sciiti, sunniti e curdi. Con l’avvento dell’IS (Stato Islamico), che ha sfruttato il malcontento sunnita all’interno del nuovo Iraq, gli equilibri sono di nuovo in discussione
3. Siria
Abbiamo detto che le zone curde in Siria non sono territorialmente continue bensì intervallate da zone a presenza araba. La famiglia Assad ha a lungo sostenuto i curdi siriani, sebbene solo per motivi “difensivi”, nel senso che costituivano una fenomenale zona cuscinetto in funzione anti-Paesi limitrofi. Come su accennato, sostenne il PKK ospitando Ocalan per molti anni, in funzione antiturca; al contempo sostenne Talabani nella creazione del partito curdo iracheno UPK.
Tuttavia, in ossequio alla tregua con la Turchia in seguito all’ennesima crisi dell’acqua legata alla diga di Keban – tregua che prevedeva la cessazione del sostegno al PKK – e per via della conseguente fuga di Ocalan, anche la frangia siriana del PKK divenne oggetto di repressione governativa. Tuttavia, nel 2003 i “reduci” costituiscono il PYD (Partito di Unione Democratica o in curdo Partiya Yekîtiya Demokrat, partito di attivisti curdi della regione di Rojava nel nord della Siria); è da precisare che essi non sono considerati internazionalmente un gruppo terroristico.
D’altronde, sebbene vi siano altri sedici partiti curdi siriani, è il PYD ad essere il punto di riferimento degli Occidentali in funzione anti-ISIS. I curdi siriani – tutti – hanno impostato la loro linea sul filone dell’autonomia (anche di alleanze) e dell’autogoverno del proprio territorio mano a mano che le forze governative perdevano terreno. A novembre 2013, quindi, a Rojava si sono creati tre cantoni autonomi ( Afrin, Jazira e Kobani.)per accogliere non soltanto i curdi ma tutti i popoli presenti nell’area (Arabi, Assiri, Yezidi, Kakai), contro i quali più massicciamente si è accanita la furia omicida di Daesh (l’altro nome di IS).
Ogni quartiere di queste città autogestite contiene insieme alla casa del popolo una casa delle donne, ci sono accademie delle donne e un esercito di donne, mentre il Congresso prevede la presenza di un 40% di donne ed ogni ente vede la presenza di un doppio presidente, un uomo e una donna. Non a caso la difesa di Kobanê ha rappresentato il baluardo contro l’ottusa violenza dello Stato Islamico.
4. Iran
Dopo l’esperienza fallimentare di Mahabad, i Curdi dell'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) combattono contro il regime di Teheran dal 1972, in una guerra che ha causato fino ad oggi circa 17mila morti. È’ da notare che i curdi sono in maggioranza sunniti, mentre l’Iran dopo la rivoluzione khomeinista è di “matrice” sciita; anche per questo essi tentarono di approfittare della confusione creata dalla rivoluzione, nel 1979, per ottenere l’autonomia (non l’indipendenza) riunendosi attorno al PDKI (Partito democratico del Kurdistan Iraniano). Ovviamente il potere sciita ha rifiutato ogni richiesta in tal senso ed ha dato il via ad una dura repressione.
In seguito il leader del PDKI, Ghassemlou, si avvicinò a Saddam Hussein che allora era il baluardo dell’occidente contro l’Iran fondamentalista, il quale finanziò la guerriglia curda perché costringesse l’Iran a mantenere un forte contingente di truppe nel nord del paese distogliendole dalla guerra con l’Iraq (guerra che va dal 1980 al 1988). Durante quel conflitto l'ayatollah Khomeini dichiarò pubblicamente che "uccidere un curdo non è peccato". Tuttavia, poi, l’Iraq come sappiamo non fu generoso con i “suoi” curdi dal momento che utilizzò armi chimiche per riprendere il controllo del nord del paese. Il conflitto provocò l'esodo di circa 60 mila curdi in Turchia.
(continua.. Parte Seconda)