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Cosa può fare la Grecia per se stessa?


Le dimissioni di ieri di Tsipras mi hanno fatto venire voglia di rispolverare dei miei appunti di alcune settimane fa. Tsipras lascia la guida della Grecia sostenendo che il suo governo non è disposto ad accettare le ulteriori condizioni poste dall’Europa (vedi Germania); piuttosto le dimissioni!

Quello che mi son chiesta nei mesi passati è perché l’Europa fosse così intransigente nella correzione di errori di cui era in parte autrice e, soprattutto, perché fosse così poco lungimirante da pretendere di applicare a Paesi diversi uno stesso modello di politica fiscale, quando non solo ogni Paese ha tautologicamente le proprie specifiche esigenze e peculiarità ma per di più quando – da Trattato - sulla politica fiscale l’Europa non dovrebbe avere voce in capitolo.

Tuttavia, il principale pensiero che mi ha accarezzata, e che qualche volta ho provato ad accennare alle persone con cui di volta in volta si apriva l’argomento, era: la situazione greca mi sembra tragica, molto più tragica di quelle che ho visto recentemente in altre parti del globo. La situazione greca ha delle note persecutorie e amare, è brancolante nel buio vista la cecità delle Organizzazioni internazionali che la “assistono” e che si dimostrano anche sorde! Organizzazioni e Istituzioni che, scordando ogni senso di umanità (perché alla fine cos’è uno Stato se non un insieme di uomini che si sono riuniti sotto un’unica entità governativa, firmando il famoso contratto sociale di cui parlava Rousseau?), pretendono di avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Tuttavia, non sono io a dirlo, bensì la Storia, e aggiungerei anche il Buon Senso: se una medicina non funziona, forse non è quella giusta! E allora, perché non cambiarla e incaponirsi invece sulla stessa inefficace soluzione solo per non ammettere che il farmaco somministrato dall’Europa ha peggiorato le condizioni del malato anziché sanarlo??! D’altronde con le medicine bisogna fare attenzione: la parola stessa “Farmaco” (dal greco “phármakon”, veleno) ce lo dice.

Ma più che guardare a cosa possono fare gli altri per la Grecia, mi sono chiesta “Cosa può fare la Grecia per se stessa?”. Di seguito quanto scrivevo alcune settimane fa, scusandomi se è un po’ “giuridichese”, ma secondo me si tratta di spunti meritevoli di discussione. E se il FMI si autodefinisse corresponsabile della situazione greca esattamente come fece la Norvegia nel 2007?(vedi appunti sotto)

Pacta sunt servanda è il principio cardine su cui si basa tutto il diritto internazionale. Il principio da cui si fa discendere l’obbligo per gli Stati di rispettare i trattati stipulati e principio attraverso cui essi si legano in vincoli “associativi” stabili, quali sono le Organizzazioni internazionali. Da esso deriva anche l’impegno degli Stati a pagare i debiti contratti nei confronti di altri Stati o creditori privati. Tuttavia, essendo una conseguenza del primo principio e non un principio fondamentale esso stesso, il pagamento dei debiti da parte dello Stato è un obbligo derogabile, soprattutto se si considera che il principio pacta sunt servanda è indubbiamente appartenente al diritto internazionale, mentre le obbligazioni contrattuali - cui i debiti si ricollegano - vedono spesso l’applicazione di un diritto misto e a volte esclusivamente di diritto privato (non imponibile di per sé alle relazioni tra Stati, e che può cedere il passo di fronte a normativa internazionale quale quella a tutela della sovranità di uno Stato).

La principale delle eccezioni ammesse, affermatasi nel XXI secolo, è la “Teoria del debito odioso” (o detestabile), che permette a uno Stato di dichiarare una parte del proprio debito illegittima - e quindi da non ripagare - in virtù dell’iniquità di tale debito. Concepita per la nascita di nuovi Stati, in particolare per i casi in cui lo Stato precedente fosse stato sottoposto a regime dittatoriale o sussistessero debiti di guerra (tra gli esempi, il ripudio del debito dell’impero zarista da parte dell’Unione Sovietica, del debito austriaco da parte della Germania nel 1938, del debito italiano nel trattato di pace del 1947), tale teoria ha portato al punto in cui il mantenimento del debito contratto è ormai considerato un’eccezione, mentre la regola è la sua cancellazione. Lo dichiara l’articolo 38 della Convenzione di Vienna sulla successione degli Stati nei beni pubblici, negli archivi e nei debiti del 1983, la quale – pur non essendo ancora entrata in vigore – è stata redatta dalla Commissione di Diritto Internazionale, che ha come compito principale quello di individuare le norme del diritto internazionale vigente.

Nel corso dei decenni, la prassi del debito odioso si è estesa a casi in cui il rifiuto di pagare il debito si ancorava al solo fatto che si trattasse di un debito iniquo, indipendentemente dal fatto che ci fosse o meno la nascita di un nuovo Stato. Il principio di equità, infatti, costituisce uno dei “principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili” che, rientrando tra le norme di diritto applicate dalla Corte internazionale di Giustizia (art. 39 dello Statuto), è ufficialmente una delle fonti del diritto internazionale.

L’iniquità del debito può essere legata al fatto che – nel momento in cui viene contratto un prestito – questo non viene utilizzato a beneficio della popolazione, e il creditore dovrebbe (per una parte della dottrina) o potrebbe (per altri autori) averne consapevolezza. È il caso, ad esempio, in cui il governo che ha contratto il debito fosse corrotto (vedi Ecuador: qui un filmato molto interessante!) oppure il debito può risultare iniquo perché da esso deriva, direttamente o indirettamente, la violazione dei diritti umani (vedi il Sudafrica una volta uscito dal regime di apartheid). Su quest’ultimo punto, fa riflettere la dichiarazione, rilasciata il 2 giugno 2015, da Juan Pablo Bohoslavsky, Esperto indipendente delle Nazioni Unite sul Debito Estero e i Diritti Umani, secondo cui in merito alla vicenda greca “i diritti umani non dovrebbero fermarsi alle porte delle istituzioni internazionali”, quali FMI e UE.

I Principi guida sul Debito estero e i Diritti umani, presentati nel 2012 nel Rapporto (A/HRC/20/23) del precedente Esperto, Cephas Lumina, al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, accolgono al loro interno i presupposti della Teoria del debito odioso, parlando non solo di “dovere in capo ai creditori di non erogare prestiti quando siano consapevoli che i fondi non sarebbero usati per scopi non pubblici”, ma neppure quando questi fossero destinati “a progetti non validi” (para. 23). Questo stesso documento, nel proporre l’istituzione di un meccanismo internazionale che si occupi della risoluzione di tutte le problematiche connesse al pagamento dei debiti contratti dagli Stati verso qualunque tipo di attore, individua all’interno del suo mandato il compito “to rule on the alleged “odiousness” or “illegitimacy” of particular external debts. The criteria to be used to ascertain the odiousness or illegitimacy of a particular external debt should be defined by national legislation taking into account the following elements: (i) The absence of consent by the debtor State’s population; (ii) The absence of benefit to the debtor State’s population; and (iii) The creditor’s awareness of the above facts” (para. 86 lett.d). Il che mette in luce due aspetti: 1) la legislazione che definisce l’ “odiosità” del debito deve essere nazionale; 2) a contare è il consenso de e il beneficio a favore della popolazione.

Quanto detto dimostra che, sebbene la Teoria del debito odioso non sia condivisa all’unanimità dalla comunità internazionale, è tuttavia ammessa come possibile e legittima, e anzi si sta col tempo affermando come norma emergente di diritto internazionale. Esattamente come nel tempo la frode e la corruzione dei rappresentanti statali si è affermata come legittima causa di nullità dei trattati (articoli 49 e 50 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969), diventando diritto imperativo.

È possibile, infine, individuare delle derivazioni applicative della Teoria dalle quali poi possono discendere nuovi principi. Nello specifico, il caso – risalente al 2006 – in cui la Norvegia ha cancellato i debiti di alcuni Paesi in via di sviluppo nei suoi confronti non dichiarando tali debiti illegittimi, bensì affermando il principio di corresponsabilità. La Norvegia si è infatti considerata responsabile – assieme ai Paesi debitori – per il fallimento delle politiche di sviluppo, in quanto determinate sulla base di valutazioni dei bisogni e dei rischi del tutto inadeguate. Dopo l’ammissione da parte del FMI che le analisi, sulla base delle quali sono stati erogati gli ultimi prestiti alla Grecia, erano errate, il principio di corresponsabilità potrebbe non essere del tutto estraneo alla vicenda.”

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